Delirio Italico

La diversità come risorsa appartiene al nostro tempo esattamente come l'informazione e la comunicazione delle quali è una diretta d...

La diversità come risorsa appartiene al nostro tempo esattamente come l'informazione e la comunicazione delle quali è una diretta discendente. L'idea contemporanea di valorizzazione della diversità non sembra più guardare verso l'alto, ma soprattutto verso il basso. La Pittura e la Scultura dopo l'ordinario, il quotidiano ed il banale è scesa, si è appropriata dei muri abbandonati, ha rovistato tra i rifiuti. E’ andata a trovare ispirazione la dove l'omologazione non poteva arrivare, anzi proprio nei rifiuti dell'omologazione. La ricerca di nuovi elementi espressivi ha portato l'architettura a guardare con interesse sia l'ingenua banalità dell'edilizia anonima, sia l'edilizia di infimo livello. L'architettura si trova a dover ri-fare i conti con la storia. Le cosiddette citazioni colte, tranne rari esempi già icone di un'epoca, sono ormai macerie della produzione di folte schiere dei soliti seguaci delle mode e del successo. Timpani, frontoni, colonne, capitelli e curiose variazioni sul tema riaffiorano e sopravvivono ancora quali icone di  outlet, uffici e villette di periferie e borghi senz'anima. Se occorre, alla presenza del passato  e dell' esotico sarà meglio affidarsi in maniera meno grossolana e diretta, con leggere allusioni ed evocazioni, come quando in cucina un profumo lieve di spezie, il gusto delicato di un condimento o una accennata tonalità di colore riescono a richiamare alla mente esperienze passate, epoche e mondi lontani senza sopraffare il gusto del presente. Il messaggio non è chiaro ai più che gongolano in un delirio di massa distanti dall’amare la Città e l’Architettura. Colpevoli le scuole ( sia esse tecniche, di architettura o ingegneria ) nel  formare progettisti insipidi con libertà di agire, appoggiati dalle istituzioni anch’esse senza sapore. Brescia, terreno di troppi movimenti progettuali falcianti il suo tessuto urbano, vittima sacrificale dell’urbanistica degli anni settanta, oggi preda di cacciatori del metro quadrato e del serpente metropolitano che ha contribuito per ora solo ad un traffico da grande metropoli. Ci consola sapere di non essere un caso isolato, siamo in ottima compagnia, il male è diffuso in tutto lo stivale. Nei lunghi viaggi è raro che lo spirito provi sollievo ad una visione celestiale, immerso in un continuum non identitario, ne relazionale e tanto meno storico: molto lontani dall’appartenere a un luogo. L’Italia sta ferma ai blocchi di partenza mentre il resto avanza. Si usa monitorare inermi, quasi che la poca felicità sia il  palliativo della sofferenza.
Come la burocrazia che la rappresenta , la società contemporanea attribuisce significato unicamente alle grandi strutture organizzate e subordina a sé le esigenze dell’individuo. Lo stesso vale per l’architettura e l’ambiente, la cui tetraggine è dimostrazione di quanto sia insensata la scomparsa dell’individualità che in esso si realizza. Unicamente l’aggregarsi di chiare entità individuali può produrre un ambiente vivo e interessante. Nelle circostanze in cui viviamo, dove nessun dialogo è concesso con quanto ci circonda, è determinante pensare architetture che favoriscano lo sviluppo psicologico e fisico dell’uomo.
Universalizzazione è un fenomeno oggi generale: ha reso possibile la diffusione e l’avanzamento della civilizzazione trasformando il particolare in universale ma, d’altro canto, è sinonimo di generalizzazione e standardizzazione. È fenomeno che favorisce la civilizzazione ma antagonista della cultura.
Trasformato in un principio, il tema della razionalità economica liquida i fondamenti culturali dell’architettura. Edifici simili vengono costruiti in ogni parte del mondo; le individualità delle città vengono cancellate e prevalgono anonimato e monotonia. L’universalizzazione deprime l’individualità. I luoghi comuni e la mediocrità hanno preso il posto dei sogni e delle emozioni di cui l’architettura era interprete e noiose costruzioni sorgono continuamente in ogni città.
Per quanto possa suonare anacronistico, nella confusione che gli effetti della moda e del business producono, bisogna chiedersi nuovamente: ” cos’è l’Architettura? ”. Progettare deve tornare ad essere un atto critico verso questi condizionamenti, un gesto di resistenza che non attinga al repertorio storicista poco garante dello spirito del nostro tempo. Solo ponendosi apertamente di fronte ai problemi si inizia a produrre Architettura. Spesso però con essa interferiscono questioni di ordine sociale, economico, legale e politico e risulta quasi impossibile riuscire a dare Architettura al di fuori di ogni considerazione economica. Ma l’ Architettura non può limitarsi a confrontarsi con simili questioni. Vi è un’autonomia e vi sono concezioni architettoniche che non hanno nulla a che spartire con simili problemi. La società non consente ai progettisti nessuno spazio per impegnarsi nel lavoro architettonico come scoperta ma consente loro di progettare unicamente senza errori, costringendoli cosi alla mediocrità e ai luoghi comuni.
Se vogliamo trasformare i monotoni e standardizzati ambienti urbani dove viviamo in luoghi ove sia possibile la scoperta e la sorpresa, il lavoro di produrre Architettura deve riaffermare la propria individualità e  libertà.
Mi riferisco alla consuetudine e non all’eccezione di quell’unico modo di vivere in Italia: sterile nella forma quanto nella sostanza. Case dell’accumulo e della cattiva memoria, cimiteri dell’intelletto che logorano i nostri corpi troppo stanchi per aprirsi al mondo e rinnovarsi. Abito e attraverso luoghi dove l’individualismo e la diversità sono parole assenti, stridenti  loculi sviluppati attorno ad un disimpegno, spazio inutile dal momento in cui ci sacrifica in movimenti meccanici invece che liberarci a gesti inattesi.

m.t.

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