Adalberto Libera
Capri
casa Malaparte
Una casa tra greco e scirocco
18:25:00
Il giorno che io mi sono messo a costruire una casa non credevo che avrei disegnato un ritratto di me stesso. Il migliore di quanti io non abbia disegnati finora in letteratura. Da tutto ciò che vi è di autobiografico nelle opere di ogni scrittore, è facile trarre gli elementi, le linee del suo ritratto morale. Anche dalla mia opera letteraria è facile trarre le linee del mio viso morale. Ma non posso dire che i miei libri diano di me un ritratto essenziale, nudo, senza ornamenti, quel ritratto che ogni scrittore idealmente si prefigge di sé. Uno scrittore dipinge sempre se stesso, in un certo senso, anche quando descrive un oggetto, un albero, un animale, una pietra. Quando io scrivevo "Donna come me", ad esempio, era il mio ritratto che io dipingevo in quell'essere strano, che prendeva dal cavallo, dal cane, gli elementi della sua forma interiore, il calco del proprio mondo interno. Fra tutti gli scrittori italiani, credo di essere fra quelli, assai pochi, che più hanno avuto il coraggio di mostrare quali sono.
Ma non mi era mai avvenuto di mostrare quale io sono, come quando mi sono provato a costruire una casa. E benché siano molte, e strane le prevenzioni che uno ha dell'architettura, considerata come un tabù, un'arte difficile, etc., io mi accinsi alla prova con un coraggio e una decisione, che nessuna difficoltà, nessuna ostilità son riusciti mai a diminuire. E prima fu la scelta del luogo dove costruire la casa.
V'era a Capri, nella parte più selvaggia, più solitaria, più drammatica, in quella parte tutta volta a mezzogiorno e ad oriente, dove l'Isola da umana diventa feroce, dove la natura si esprime con una forza incomparabile, e crudele, un promontorio di straordinaria purezza di linee, avventato in mare come un artiglio di roccia.
Nessun luogo, in Italia, ha tale ampiezza di orizzonte, tale profondità di sentimento. È un luogo, certo, solo adatto per uomini forti, per liberi spiriti. Ché facile è lasciarsi dominare dalla natura, diventarne lo schiavo, lasciarsi stritolare da quelle fauci delicate e violente, farsi ingoiare in quella natura come Jona nella balena. Mi apparve chiaro, fin dal primo momento, che non solo la linea della casa, la sua architettura, ma i materiali con cui l'avrei costruita, avrebbero dovuto essere intonati con quella natura selvaggia e delicata. Non mattoni, non cemento, ma pietra, soltanto pietra, e di quella del luogo, di cui è fatta la roccia, il monte.. E come nessuna concessione poteva da me essere fatta alla natura, così nessuna concessione a quella falsa idea che gli uomini si fanno, e cioè che l'architettura di un luogo si presti a ogni parte del luogo: e per Capri, che l'architettura così detta caprese si adatti egualmente al versante sul golfo, a quello di Marina Piccola, a quello idillico, episodeo, di Anacapri, e a quello greco di Matromania.
Qui, nessuna casa appariva. Io ero dunque il primo a costruire una casa in quella natura. E fu con timore reverente che mi accinsi alla fatica, aiutato non da architetti, o da ingegneri (se non per le questioni legali, per la forma legale), ma da un semplice capomastro, il migliore, il più onesto, il più intelligente, il più probo, fra quanti abbia mai conosciuti. Piccolo di statura, silenziosissimo, poverissimo di gesti e di parole, l'occhio nero coperto da una palpebra lenta e prudente e saggia, Mastro Adolfo Amitrano cominciò col tastar la roccia con la mano: allora si scendeva sulla Punta Massullo calandosi lungo uno sperone di roccia a picco. Passavamo là, su quella punta ventosa, gran parte delle nostre giornate, ed era d'inverno. Ma egli seguiva le mie parole, le idee che gli andavo spiegando sulla casa, approvando o negando. Per mesi e mesi squadre di muratori hanno lavorato su quell'estremo davanzale di Capri. finché a poco a poco la casa cominciò a uscir dalla roccia, sposata a quella, e prese forma, si rivelò per la più ardita e intelligente e moderna casa di Capri. Molti eran quelli che avrebbero voluto che io concedessi allo stile caprese, senza pensar che è proprio qui, nel concedere e nel far stile, che io mi rifiutavo e stavo sul mio. Nessuna colonnina romanica, perciò, nessun arco, nessuna scaletta esterna, nessuna finestra ogivale, nessuno di quegli ibridi connubi tra stile moresco, romanico, gotico e secessionista, che certi tedeschi, trenta o cinquant'anni or sono, portarono a Capri, inquinando la purezza e semplicità delle case capriote.
I problemi da risolvere non erano pochi, e non erano facili. A cominciare dall'orientamento poiché c'era da scegliere fra due venti, il greco e lo scirocco, che vi battono spesso. E io preferii affrontarli col gomito, per così dire, orientando la casa con gli angoli volti a tagliare i quattro punti cardinali. In quanto alla sua forma, essa mi era dettata dall'andamento della roccia, dalla sua struttura, dalla sua pendenza, dal rapporto dei suoi sessanta metri di lunghezza con i suoi dodici metri di larghezza. La feci lunga, stretta dieci metri, lunga 54. E poiché, a un certo punto, dove la roccia si innesta al monte, la rupe si incurva, si abbandona, formando come una specie di collo esile, io qui gettai una scalinata, che dall'orlo superiore della terrazza scende a triangolo.
Curzio Malaparte
2 comments
Congratulazione Marcio.
RispondiEliminaStupendo artìcolo.
Ricorda il film Le Mépris di Jean-Luc Godard (1963).
Manuel.
:-) grazie Manuel
RispondiEliminaè la descrizione originale della casa fatta dal sul proprietario
lo scrittore e poeta Curzio Malaparte...
davvero un bel articolo!